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Alfa Romeo 33 Stradale

Alfa Romeo 33 Stradale Autorestauro 2

L’incontro che mi ha cambiato la vita!

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Non so cosa sia la poesia ma la riconosco quando la sento.

Alfred E. Housman

 

Sabato mattina. E’ da sabato mattina che ho scoperto il significato di poesia. Una cara amica ha tentato per anni di spiegarmi la differenza tra prosa e poesia. Che stupida, le sarebbe bastato mostrarmi una 33 dal vivo e ci saremmo risparmiati ore di discussioni infinite!

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La poesia è la capacità di emozionare con poche parole, sapientemente combinate tra loro, come gli ingredienti un piatto d’alta cucina. Non servono virtuosismi, che stonano e appesantiscono forma e risultato. Pura sostanza concentrata pochi versi. E questa Alfa Romeo 33 sta alla poesia quanto la poesia sta all’arte. La guardi, l’ammiri, la studi con calma in ogni dettaglio e ti accorgi di quanto tutto sia funzionale. Per D’Annunzio l’automobile è donna. Senza ombra di dubbio, la 33 è la Femmina per eccellenza. Il potere è tutto nelle sue mani. Può sedurti, eccitarti e portarti alla gloria come stroncarti fiato e vita con un solo cenno.

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Sarà che mi ha stregato sin da quando ero piccino ma da quando ha deciso di mostrarsi e farsi accarezzare, beh non mi vergogno a dire di sentirmi un uomo migliore. Il destino di questa rossa pin-up era chiaro a tutti, prima ancora di prender vita, quando era soltanto un foglio bianco nei tecnigrafi dei più grandi ed estrosi uomini che hanno scritto la storia dell’automobilismo italiano e mondiale. Incaricati dal Presidente dell’Alfa Romeo Giuseppe Luraghi, Giuseppe Busso, Carlo Chiti e Franco Scaglione unirono i loro talenti per creare quella che è ancor oggi definita una delle auto più belle al Mondo.

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Nel 1963 Carlo Chiti e Ludovico Chizzola fondarono l’Auto Delta, struttura inizialmente autonoma, nata per gestire ed evolvere la Giulia TZ (ma anche GT, GTA e TZ2) nei campi di gara e che diventò prima il centro di ricerca e sperimentazione prototipi (1964) e poi Reparto Corse Alfa Romeo (1966). Proprio nel 1966 l’Auto Delta curò, con la stretta supervisione di Chiti, la progettazione della 33. Per l’erede della gloriosa Giulia si optò per una soluzione inusuale al Marchio, quella di posizionare il motore in posizione centrale. Questa non fu l’unica scelta a destare stupore. La costruzione del telaio aveva più affinità con le tecnologie aeronautiche che automobilistiche, come ad esempio l’uso del magnesio e del titanio. Caratterizzato da un’ossatura ad “H”, era composto da un tunnel centrale realizzato in peraluman (lega di alluminio e magnesio) e due grossi longheroni ai lati in magnesio che ospitavano i serbatoi del carburante. A irrigidire la struttura, ci pensava una triangolazione di elementi titanio. Il magnesio veniva impiegato anche per il telaietto anteriore, su cui venivano montate le sospensioni e la scatola guida. Il telaietto posteriore era invece in alluminio. 4 i freni a disco, con i dischi posteriori montati inboard a ridosso del gruppo cambio/differenziale. Soluzione che verrà tramandata fino alla SZ/RZ, creazione di Zagato di chiara derivazione Alfa 75.

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Il motore era un progetto inedito del grande Busso. L’architettura utilizzata era una classica V di 90 gradi con 8 cilindri di 1995cc di cilindrata e carter secco. Basamento e testate in lega leggera, 4 alberi a camme a gestire 2 valvole per cilindro e la cara doppia accensione. I numeri erano sbalorditivi, con 230cv, dichiarati per difetto, erogati a 8800 giri/minuto. Il cambio vantava 6 rapporti, costruito da Valerio Colotti.

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A questo punto toccava al designer Scaglione occuparsi di vestire questo gioiello. Come un abile sarto prese le misure dell’Alfa e cucì, con l’aiuto della Carrozzeria Marazzi, un abitino aderente, capace di esaltare la meccanica senza cadere in inutili fronzoli. Franco Scaglione si era superato. La 33 Stradale aveva la carrozzeria realizzata interamente in alluminio, in ordine di marcia il peso si attestava in circa 700kg. La forma aerodinamica e il VI° rapporto lungo le permettevano di toccare i 260km/h.

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Nel 1967 venne presentata al grande pubblico in anteprima al Motorshow di Torino e solo a Ginevra ‘68 nella veste definitiva, che ne decretò l’entrata in commercio, In 16 mesi di vita, dei 50 esemplari originariamente previsti, solo 18 telai videro la luce. Di questi, si narra che furono completate e vendute 12 auto. Altre 2 auto sono di proprietà dell’Alfa Romeo stessa, di cui una in mostra al Museo Alfa Romeo di Arese. Degli altri 4 telai invece non si hanno notizie. Siamo di fronte ad un auto concepita per competere prima di tutto nel Campionato Mondiale Sport Prototipi. A dispetto di quello che accade nei giorni nostri, è la Stradale a derivare dal modello da competizione e non il contrario.  Dei pochi esemplari costruiti, non esiste un doppione. Ogni modello ha caratteristiche proprie che lo differenziano dagli altri, senza dimenticare la lavorazione pressoché artigianale di ogni componente. Esteriormente la prima differenza che si può notare è che ci sono esemplari che hanno 4 fari all’anteriore e altri soltanto 2. Idem per la posizione degli indicatori di direzione anteriori, alcune 33 hanno le frecce carenate e inglobate nei grossi fari neri, in altre sono montate di lato. Per non parlare delle possibili combinazioni degli interni. Negli anni ‘60 era il mezzo più esclusivo, affascinante e caro che il mercato offriva. Lo scotto da pagare per aggiudicarsi le ire della propria moglie era di 9’750’000 lire di listino, richiesta che superava in realtà i 10 milioni. A quei tempi comprare una Miura, ad esempio, costava 2 milioni in meno!

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Tipo 33 Vs 33 Stradale. La versione da competizione, chiamata Tipo 33 era nata quasi 12 mesi prima, si distingueva per molti particolari dalla futura 33 Stradale. Con un passo più corto di 10 cm, aveva 2 set up per il cofano motore, normale oppure di forma allungata per meglio adattarsi ai percorsi più veloci. La potenza del 2 litri raggiungeva la soglia dei 260 cavalli a 9200 giri (divenuti nel tempo 290 a quasi 10000 giri/minuto), mentre la carrozzeria era composta in leggera fibra di vetro. Il peso era inizialmente di 670kg ma scese in modo cospicuo con le future evoluzioni fino ad attestarsi poco oltre i 600kg. L’accensione avveniva utilizzando una sola candela per cilindro, la nuova testata con le 2 candele per cilindro arrivò solo più tardi, nel 1968, in concomitanza con il debutto della versione Stradale. Il primo esemplare di Tipo 33 a scendere in pista, a Balocco per i test, aveva la configurazione spider e montava il 1.6 4 cilindri della Giulia TZ2 perché il V8 era ancora al banco prova per le ultime verifiche. La versione coupè della 33 arrivò solo in un secondo momento.

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1967. La prima gara a cui partecipò la 33. Si trattava di una cronoscalata che si tenne in Belgio a Fleron. Guidata da Teodoro Zeccoli, “periscopica” (ribattezzata così per la forma della presa d’aspirazione del motore) vinse sorprendendo tutti quanti. Tutti tranne Chiti naturalmente, che non aveva mai dubbi sulla bontà delle sue bambine. Era famoso nell’ambiente per l’indistruttibilità dei suoi motori. Vera e presunta a dire il vero, perché quando si rompevano attribuiva la colpa ad un errore dei meccanici o del pilota.

1968 Nuovi sviluppi e successi corrono di pari passo. Una versione che entrò nella Storia della Casa è la “coda lunga”, soprannominata Daytona, in onore della tripletta fatta alla 24 Ore di Daytona. Famosa per la vittoria di classe nella grande classica americana e perché segnò lo step evolutivo che portò alla immissione sul mercato della Stradale. Col tempo, il motore V8 2 litri venne preparato fino alla soglia dei 290 cavalli, utilizzati nelle gare sprint, mentre in configurazione 24 Ore continuava ad avere circa 260 cavalli. Modificando la corsa e l’alesaggio e dotandolo di nuove teste a 4 valvole per cilindro, si arrivò ad avere una cilindrata di 3 litri. In questo caso la potenza superava i 400 cavalli. La 33.2 (2 litri) e la 33.3 (3 litri) continuano a vincere in tutto il Mondo.

1971. Venne presentata la 33 TT 3, incaricata di rappresentare l’Alfa Romeo nel Campionato Mondiale Marche. Il motore derivava dalla 33.3

1973. La modifica del regolamento Sport Prototipi era la Ferrari 312 P con il 12 cilindri di 3 litri a dominare la scena, una sorta di F1 ricarrozzata stando alle indiscrezioni dell’epoca. Le pur ottime 33.2. e 33.3 non riuscivano a contrastare il potere della 312 P e si arrivò così ad una corposa evoluzione della piccola 33. Sempre per mano dell’Auto Delta arrivava la 33 TT 12. In questo caso il motore era il nuovo inedito propulsore boxer a 12 cilindri realizzato naturalmente da Chiti. La cilindrata rimase invariata come da regolamento, quindi 3 litri, accreditato di 470cv a 11000 giri/minuto. Nonostante i 4 cilindri in più, gli ingombri non variarono molto, idem il peso. La stagione però non sorrise agli uomini di Arese. Il progetto si rivelò acerbo e bisognoso di ulteriori migliorie.

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1974. L’inverno permise a Chiti e al suo staff di rendere più competitivo il motore della 33 TT 12.  A inizio stagione la potenza della vettura era di 506 cavalli e si vociferava essere più potente della Ferrari di circa 10 cavalli. Nel 1974 giunse la prima vittoria per la 33 TT 12, alla 1000 km di Monza. La crisi petrolifera di quel periodo e il cambio di dirigenza Alfa impedirono alla 33 di giocarsi la possibilità di vincere l’ennesimo titolo. La scuderia si ritirò a campionato in corso e le auto rinchiuse nei locali dello stabilimento di Arese. Parteciparono in seguito alla 6 ore di Watkins Glen ma senza fortuna.

1975. La 33 TT 12 si aggiudica il Campionato Mondiale Marche, con uno step evolutivo che permise alla bimba di raggiungere regimi di 12000 giri/minuto, sprigionando 525 cavalli. Recuperate in fretta e furia dal loro tugurio, le auto vennero rialzate, sostituendo le componenti aggredite dalla ruggine, modificate nelle sospensioni e sottoposte a dieta, le rosse Alfa vinsero la gara di apertura, al Mugello e dominarono la stagione.

1976. La parola chiave fu downsizing. Era tempo di pensionare la prestante TT 12 con il suo 3 litri e lasciar spazio alla nuova SC 12 Turbo. Sempre 12 cilindri boxer, 800cc in meno (era un 2134cc) e 2 turbine KKK in più per la 33 che si reinventa di nuovo.

1977. Forte dei suoi 640 cavalli a 11000 giri/minuto e una top speed di ben 360km/h… la 33 SC 12 Turbo si aggiudica il Campionato e la pensione.

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Amo quest’auto, mi sono scoperto animista! Non è soltanto una divinità, non ha soltanto un’anima questa magnifica 33 Stradale, ha un’aura tutta sua, capace di trasmettere la sua bellezza, la sua efficacia e il patrimonio dei suoi avi, Chiti in primis. Che l’hanno voluta con decisione, seguendola passo passo nel suo cammino e la accompagnano ancora oggi. La loro bimba. Sono melenso, lo so, e anche ripetitivo ma che ci volete fare. Sono vecchio e la demenza senile fa il suo corso. Dal vivo è più piccina e compatta di quando sembri in foto. Ti senti afflitto da disturbi bipolari a guardarla perché hai sensazioni contrastanti. Vorresti abbracciarla e coccolarla. Cantarle una ninna nanna e riporla in un box, con una calda copertina anche sotto, poggiata a terra, per non sporcare le sue gomme immacolate. Però con quei fianchi così… e quel culetto alto che JLo potrebbe ritirarsi all’istante perché incapace di reggere il confronto… beh oltre alla ninna nanna ci vedi anche tante curve da dipingere con il suo muso chirurgico e sincero nei feedback quanto il posteriore pronto a scaricare a terra tutta la potenza per schizzare veloci da una curva all’altra. Non smetterò mai ringraziare l’amico Chris per il regalo che mi ha fatto. Dovevamo vederci per far 4 chiacchiere e sono uscito da casa sua saltellando felice come Heidi. E anche se le caprette mi hanno ignorato, facendo finta di non conoscermi, non m’importa. Ho scoperto cos’è la poesia. L’ho incontrata e la porterò sempre con me.

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L’esemplare fotografato è una splendida replica della 33 presentata al Salone di Ginevra del 1968 e identica alla vettura in mostra al Museo Alfa Romeo di Arese. La realizzazione di questa meraviglia è opera degli amici dell’Autorestauro di Boves, un vero e proprio atelier alle porte di Cuneo. Far loro visita è come fare un salto nel tempo. Non ci sono stampi in vetroresina tra i piedi o altre porcate simili. Qui la lavorazione di ogni componente è fatta a mano, nel pieno rispetto della tradizione delle opere che costruiscono. A scandire il tempo ci pensano i colpi dei battilastra, impegnati a modellare l’alluminio di queste creature a quattro ruote. Sabato in verità c’erano anche le mie urla, ho dato il peggio di me. E ci tornerò presto, probabilmente da solo perché Fabrizio, l’amico di mille avventure che è venuto a sostenermi prima di cascare a terra per l’emozione, ha detto che ho passato il limite. Va beh, lui è jdm dentro, ma voi avete visto quant’è bella questa 33? E dai su…

 

 

 

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